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Il Patriarca della Luce
di Filippo Radogna

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Filippo Radogna, 49 anni, nato a Matera, dove vive e lavora, è un autore che ama spaziare tra diversi generi narrativi. Laureato in Scienze Politiche, studioso della cultura contadina e della storia dell’agricoltura lucana, è vicepresidente dell’Associazione Culturale Matera Poesia 1995 e collabora con la webzine del fantastico La Zona Morta, per la quale ha intervistato i principali esponenti della scena fantascientifica italiana contemporanea. Come autore di racconti ha conseguito ottimi riconoscimenti in diversi concorsi letterari, pubblicando in antologie edite, tra gli altri, da Kipple e Delos Books. Le sue storie sono spesso ambientate nello scenario dei Sassi, dell’altopiano delle Murge o delle necropoli metapontine. "Il Patriarca della Luce" conduce il lettore in un lontanissimo futuro in cui una sparuta comunità postumana deve fare i conti con una minaccia emersa all’improvviso da un abisso molto più profondo della Gravina materana. Allo stesso contesto Filippo ha dedicato altri racconti, tra cui “Lo spettro del dominio”, primo classificato al Premio Letterario “Le Pieridi”. - X
[Illustrazioni di Giusy Tolve.]

Primo giorno dell’Anno Mille
Nuovo Medioevo


Nella nebbia, il sangue colava copioso e denso dal corpo straziato e fradicio.
La Torre consacrata alla Cometa dei Titani era stata eretta con blocchi di inalterabile roccia spenta, dello stesso colore grigio fumo che connotava gli edifici della città. Il Patriarca era infilzato sulla punta protesa al cielo della Croce del Cosmo, che svettava sulla sua terrazza. Passai lieve la punta dell’indice su un ampio squarcio sul quale la materia rappresa formava rivoli vermigli.
Sempre più spesso i popolani mi facevano presente– e sapevo che lo stesso succedeva a ogni altro seguace dell’Ordine Esoterico – la loro invidia per il libero accesso che avevo a quel terrazzo, da cui si poteva spingere lo sguardo intorno alla città, per chilometri e chilometri. E io mi sforzavo di non ripetere ogni volta che tutto ciò che si vedeva era un’interminabile, ondulante distesa di nebbia. Ma forse quello che mi invidiavano davvero era che un giorno sarei stato il primo a vederla diradarsi, affievolirsi e infine dissolversi. Era per quel motivo, credo, che io e gli altri adepti sceglievamo regolarmente quel luogo, pur deprimente com’era, per meditare e talvolta perfino per conversare. La loro speranza era anche la nostra, sebbene nessuno di noi avesse mai osato affrontare l’argomento, né tantomeno l’aveva fatto il mio Maestro – finché aveva potuto.
Quel giorno il vento, che spirava potente e gelido, diradava la Nebbia Perenne. La testa, con il cranio fracassato e il volto sfigurato, era riversa su un lato. I lunghi capelli dorati si agitavano come drappi sdruciti, scomposti dalle forti raffiche. Le orbite vuote fissavano il nulla. Una smorfia di orrore deformava la bocca traboccante di sangue. Il collo era squarciato all’altezza della trachea. Le braccia scoperte si allargavano all’indietro evidenziando i profondi morsi che avevano dilaniato le carni, mettendo a nudo i tendini.
La lunga tunica blu, segno distintivo dell’Ordine, era ridotta in brandelli e copriva a malapena il corpo e le gambe spalancate. Nei sandali di corda i piedi penzolavano irrigiditi.
Osservai strane tracce di fanghiglia putrida sui poveri resti. Issare a quell’altezza una corporatura così robusta confermava quanto pensavo. Si narrava che nel passato – ma forse era solo una leggenda – in una notte tempestosa una creatura agghiacciante era emersa dagli inferi. Nella tormenta l’essere era stato visto arrampicarsi fino a raggiungere la Croce del Cosmo, che aveva tentato di sradicare. Ma la sua opera dissacratoria era stata impedita da un lampo violentissimo, forse segno del destino, che l’aveva incenerito. Poi un vento impetuoso ne aveva spazzato via ogni traccia.
Contemplai con devozione il corpo lacerato del Grande Sapiente che era stato mio Maestro e contenni la commozione. Non mi erano concesse debolezze.
– Nessuna comune forza appartenente a questo mondo avrebbe potuto fare tanto – sentenziai. La ferocia che aveva infierito sul Patriarca non lasciava dubbi. – Il Male alberga tra noi!
L’abate appena accorso, già provato dal nefasto accadimento, lanciò un gemito e mi si gettò disarmato ai piedi. Lo seguirono nel gesto di prostrazione i monaci esoterici e le sacerdotesse della Cometa dei Titani, tutti tremanti come foglie.
– Estremo Difensore, giovane figlio prediletto del Patriarca, è giunta la fine del Nuovo Mondo Conosciuto! – piagnucolò l’Abate. – Il Male ci annienterà?
– Sconfiggeremo il Male – dissi risoluto. – Ci riusciremo, per il Nuovo Mondo Conosciuto.
Ma ci credevo poco. Forte era il dubbio che mi assillava, e non potevo permettermi neanche questo. Era arrivato il momento che mai avrei voluto. Era il momento per cui mi andavo preparando da una vita.

Preludio

Il Libro Sacro del Nuovo Medioevo sul quale ero stato educato e formato, compilato nell’antichità dai Grandi Sapienti, vaticinava: “Allo scoccare della dodicesima clessidra del primo giorno dell’anno Mille, le tenebre caleranno sul Nuovo Mondo Conosciuto”.
Verità o leggenda? Arcano e timore da sempre circondavano quelle pagine.
Del nostro passato si sapeva ben poco. Eravamo a conoscenza di una razza preistorica che ci aveva preceduti dominando il pianeta. La razza umana. Aveva espresso una civiltà molto avanzata – tecnologica, raccontavano i Grandi Sapienti che ne avevano analizzato i fossili e le rovine. Ma il significato di tale termine nessuno sapeva spiegarlo, per quanto alcune conoscenze di quel mondo primordiale ci fossero state – chissà come – tramandate. Non sapevamo cosa farcene, né tantomeno eravamo interessati ad esse.
Quella civiltà si era estinta. Forse per una guerra apocalittica o per una pandemia, o forse per un cataclisma cosmico come la repentina alterazione di una stella prossima. Restavano tutte congetture. Passata una lunga epoca di vuoto e di caos, eravamo comparsi noi: gli eumani, la nuova stirpe!
La mia comunità abitava nell’antico agglomerato di Materam, che si dipanava in un nugolo di grotte scavate nelle pareti dello strapiombo. Una magnifica selva fitta di abitazioni, ipogei e sentieri ricavati nella pregiata roccia spenta, che si confondevano con il paesaggio primitivo del canyon. Un incontro tra la genialità degli eumani e le nobili asperità della natura. La città, concepita dall’acume dei Grandi Sapienti, era stata progettata come un labirinto per scoraggiare possibili invasori, per questo nessun vicolo o strada aveva un nome. Qui nessun riferimento era possibile per chi non vi era nato.
Sul fondo dell’imbuto da incubo, ristagnava una manifestazione degli inferi stessi: la Palude Infera. Sul promontorio, tra sporgenze e massi grumosi svettava la Torre della Cometa: il più imponente tra i templi del Nuovo Mondo Conosciuto. La sua costruzione, opera dell’Ordine Monastico degli Esoterici, si perdeva nella notte dei tempi.
Vivevamo nella Nebbia Perenne, una bruma cupa che da sempre offuscava il cielo.
Il Patriarca mi aveva scelto tra mille primogeniti. Mi aveva trovato, ancora in fasce, in un misero villaggio del limitrofo altopiano, in una delle sue peregrinazioni alla ricerca di quello che sarebbe stato l’Estremo Difensore.
Il Predestinato alla lotta del Bene contro il Male.
Mi aveva preferito per via del colore dei miei occhi, disuguali come i suoi: il destro verde cadmio e il sinistro azzurro intenso. “Segno di acume, coraggio e di un destino grandioso che segnerà la storia”, aveva profetizzato quel giorno ai due coloni che mi avevano generato.
Mi portò con sé.
Mi sottopose a quattro lustri di dura preparazione, impartita con regole molto rigide. Le discipline fisiche e gli insegnamenti esoterici mi forgiarono nel corpo e nello spirito. Andai man mano affinando poteri paranormali di cui non potevo ancora vantare una piena coscienza.
Un solo eumano – era riportato nel Libro Sacro – potrà sconfiggere il pericolo che verrà dalle viscere della Terra”.
E così, in tutti gli anni trascorsi sotto il suo addestramento, nelle notti che scorrevano all’ombra della Cometa, imploravo che il Patriarca mi avesse scelto con cognizione. Lo facevo solo per il mio bene.

Nel Salone delle Assimilazioni Cerebrali

Senza più il mio Maestro ero solo e dovevo prevenire le prossime mosse dell’Entità giunta per distruggerci. Continuavo a ignorarne l’aspetto e il riparo in cui si nascondeva.
Ne sentivo comunque, pungente e ostile, la presenza malvagia.
Mi recai nel Salone delle Assimilazioni Cerebrali, alla base della Torre che era stata la dimora del Patriarca. Addossati alle pareti grandi armadi traboccavano di documenti primitivi incisi su pergamena. Setacciai lo stanzone nel silenzio più lugubre ricordando le parole del Patriarca. Riecheggiavano, come se le stesse pronunciando al momento: “Quando verrà il tempo dello scontro col Male, farai uso prezioso dei tuoi acutissimi sensi e dei miei insegnamenti. Non dimenticarli mai e non ometterne nessuno”.
Avvertii un odore ripugnate come un ristagno di palude. Il flusso risaliva dallo scalone declinante. L’accesso alla Caverna Sotterranea dei Sarcofagi.
Là sotto, a una profondità di ventimila candele, direttamente proporzionale all’altezza della Torre, riposavano nel sonno eterno i Grandi Sapienti che si erano succeduti dall’alba del Nuovo Mondo.
Solo il Patriarca aveva in custodia la chiave madre.
Solo a lui veniva consentito l’accesso.
La vecchia e logora porta era dischiusa. La spinsi ed emise un lungo vagito. La robusta serratura era stata divelta dall’interno e giaceva a pezzi per terra.
L’odore di muffa si confondeva con il tanfo di acqua putrida.
In un incavo nella pietra alla mia destra ardeva una fiaccola. L’afferrai. Lento e guardingo presi a scendere le scale ripidissime.

Angoscia

Alle mie spalle l’apertura della soglia dalla quale filtrava un raggio di luce crepuscolare presto si ridusse a un puntino e infine si dissolse del tutto. La tensione aumentava via via che scendevo, e cresceva nel silenzio che albergava in quel tetro mondo sotterraneo.
Mi concentrai sui battiti del cuore. Dovevo controllarli, quasi fossero rintocchi, sintonizzandoli sulla freddezza del mio senno. Il Senno e il suo controllo erano stati al centro degli insegnamenti del Patriarca.
La fiamma della torcia crepitava, unica compagna in quella discesa verso l’Oscurità.
Sotto la tunica il sudore gelato mi si incollava addosso. Mi lasciai sopraffare dall’angoscia. Mi incuneavo sempre più nel ventre del mondo, che offriva rifugio a una minaccia indicibile, in agguato nell’ombra.
La verità ti accompagnerà anche quando ti sentirai ineguale di fronte al dovere. Allora dovrai credere nella potenza e nella forza dei giusti”. Mi rividi adolescente nel Salone delle Assimilazioni Cerebrali. Di fronte a me, il Patriarca mi parlava con voce rassicurante.
Non potei indugiare a lungo in quel pensiero. Una folata prepotente di vento marcio e cattivo soffocò la fiaccola. E fu buio.
Buio pesto.

Il Mutante

Mi arrestai e arrestai anche il respiro, in un silenzio sfibrante. Nemico.
Dapprima fiutai le particelle. Il mio pensiero quasi riusciva a vederle: un aggregato compatto e denso di malvagità. Intercettai un rumore dal fondo del budello. Inizialmente impercettibile. Poi più tangibile. Quindi nettissimo. Si muoveva veloce. Valutai rapidamente il risultato delle mie sensazioni: la figura che mi veniva incontro nell’oscurità era massiccia ma capace di un’agilità notevole, resa ancor più straordinaria dalla pendenza della salita che stava affrontando. Dai rimbombi confusi sembrava avanzare al galoppo.
Congiunsi le mani in preghiera e mi concentrai. Pensando alla nebbia, al vento, all’aria, scivolai in uno stato di trance profonda. Feci nuovamente appello alle mie risorse intangibili e rimembrai ancora una volta gli insegnamenti del Patriarca: “Avrai paura e vorrai fuggire e allora penserai alla nebbia e al vento e ti farai aria. Sarai spirito, energia e materia”.
Mi raffigurai nella mente gli organi, i tessuti, le cellule del mio corpo staccarsi e fluire, librandosi nell’aria per ricomporsi in una sostanza eterea.
Sollevai lo sguardo.
Mi si chiuse la gola.
La faccia dell’essere, lattescente e marmorea, era di fronte a me. Emanava un riverbero fluorescente e si ergeva impressionante, sovrastandomi di almeno tre palmi in tutta la sua tremenda ferocia. Le narici emanavano un sibilo terrificante. Rabbrividii.
La testa era enorme e glabra, con un paio di corna corte e robuste inclinate all’indietro. Gli occhi erano bianchi, gelidi, privi di pupille. Il volto era racchiuso dalle parentesi delle branchie. Dietro le labbra lampeggiavano diverse file di denti, irregolari e aguzzi. Un collo taurino si innestava sul corpo possente, ricoperto di pelle squamosa e incrostata. Mani e piedi erano provvisti di artigli acuminati. Il corpo era cosparso di una fanghiglia putrida.
Sbuffava in modo animalesco dalle cavità nasali schiacciate. Ringhiava e annusava l’aria. Captava la mia presenza, ma era quasi come se non riuscisse a individuarmi.
Continuava a voltarsi, in cerca di tracce dell’intruso. Girava la testa spaventosa scrutando con lentezza, mentre filamenti di sangue e grumi marci sgocciolavano dalla bocca mostruosa.

Fuga disperata

Scivolai su uno scalino viscido e sconnesso. Il Mutante percepì il movimento dell’aria e si girò di scatto nella mia direzione. Ruzzolai rovinosamente, urtando le pareti mentre cercavo un appiglio sulle sporgenze di roccia.
Il Mutante emise un ringhio che divenne un latrato, un urlo atroce e primitivo che risuonò nelle viscere della Terra. La mia mente era offuscata da un turbinìo di pensieri deliranti. Trovai un equilibrio dinamico: mentre la mente mi vedeva sbranato con famelica ferocia, il corpo tentò una fuga disperata.
Rammenta che i tuoi occhi sono segnati dalla divinità della Cometa, la luce senza tempo”. Il richiamo spirituale del Patriarca mi proteggeva e ispirava energia e coraggio.
Misi a fuoco la vista nell’oscurità. Distinguevo le forme come fossi in una caverna illuminata da mille fiammate abbacinanti. Mi voltai e guardai sopra. Il Mutante era in fondo allo scalone, distante da me. Lo vidi dapprima esitare indeciso, poi guardare di sotto nella mia direzione. Non capivo se adesso riuscisse a vedermi.
Emise un altro stridio prolungato come un grugnito distorto.
Con i grossi arti superiori assestò colpi rabbiosi, investendo con una violenza ciclopica le pareti del cunicolo, fino a strapparne pezzi che rotolarono lungo le scale.
Si piegò sulle quattro zampe mostruose e si diede uno slancio, proiettandosi verso di me.

In trappola nel Labirinto della Morte

La scalinata s’inclinava diramandosi in varie direzioni, un labirinto della morte che il Mutante doveva conoscere alla perfezione.
Scelsi una direzione a caso e m’incuneai nelle profondità dei meandri sotterranei. Ero sempre più persuaso che allontanarmi dalla superficie aumentava le possibilità di non poter più farvi ritorno. Sentivo il fiato grosso e nauseabondo del Mutante alle mie spalle, sempre più vicino. Nella fuga urtai con violenza una grande lastra di pietra.
Mi rialzai stordito e vacillante. Era un sarcofago. Ne vidi altri e poi ancora altri. Ero giunto nella Caverna Sotterranea, dove erano tumulati i Grandi Sapienti.
Il Mutante sopraggiunse dopo pochi istanti.
Febbricitante, giunsi sul fondo della Caverna e mi addossai alla parete. Non avevo scampo, non c’erano vie d’uscita.
L’incantesimo, effetto di concentrazione ed equilibrio mentale, si era spezzato. Ero tornato visibile, in balia della bestia.
Ansimavo e sanguinavo.
Il Mutante si fece avanti con una lentezza studiata e compiaciuta. Esibiva un ghigno diabolico, ringhiava, sbavava, digrignava i denti. Arricciava le cavità nasali annusando l’odore del mio sangue. Sbuffò e lanciò un urlo acuto e lancinante che echeggiò terribile nell’antro ipogeo. Spiccò un salto e caricò a testa bassa nella mia direzione.
Gli artigli uncinavano il terriccio umido mentre avanzava in tutta la sua malefica e devastante potenza.
Sarai spossato e ferito ma avrai la rapidità del lampo”. Il Patriarca era ancora con me.
Attesi che la Bestia mi fosse addosso. Il tempo si dilatò all’infinito. Fu uno scatto. Mi gettai di lato.
La sua furia straordinaria si schiantò sulla roccia. L’impatto con la parete fu tremendo, esplodendo in una pioggia di pietre con un boato fragoroso che sventrò il silenzio sepolcrale. Dietro la parete sfondata, si aprì il baratro.
Feci in tempo a rialzarmi per vedere la creatura precipitare nell’abisso, sfracellandosi sugli spuntoni frastagliati e perdendosi nelle profondità dello strapiombo.
Alzai lo sguardo. Una luce mai vista brillava nel cielo. La Cometa dei Titani si era manifestata sulla città. La Nebbia Perenne si stava dileguando lasciando il posto a un azzurro chiaro e cristallino.

Epilogo
Il Patriarca della Luce


È toccato a me assumere il ruolo di Patriarca. Il mio Maestro ha sempre assistito il mio pensiero e il mio cuore nella lotta contro il Male.
Mi chiamano “il Patriarca della Luce”. E nella luce della Cometa dei Titani, immobile in cielo, la città di Materam è divenuta il centro di una nuova civiltà eumana.
Le tenebre sono solo un remoto ricordo. Perso nella preistoria è anche l’essere risalito dalla Palude Infera. Una spedizione riuscì a recuperarne la carcassa sfracellata, incagliata in un profondo anfratto dello strapiombo. I resti vennero analizzati da un gruppo di Grandi Sapienti che, guidati da un mio consigliere di fiducia, ne studiarono le peculiarità morfologiche. La conclusione fu che si trattava di un’aberrazione dell’antica razza umana, un esemplare della schiera di ladri e assassini utilizzati per sperimentazioni abominevoli. Come le altre cavie era stato sottoposto a trasformazioni biologiche che erano sfuggite di mano agli sperimentatori, incorrendo in un processo di costante mutabilità del suo patrimonio cellulare.
Un sopravvissuto della Palude Infera e dei tempi della vecchia umanità. La sua cattura sarebbe stata un’opportunità per capire qualcosa di più sull’arcaica razza umana e sulla linea evolutiva dalla quale provenivamo.
Un enigma invece rimane: la Cometa dei Titani. L’adoravamo da sempre e nel passato era stata avvistata più volte. Ci chiediamo quale arcano principio benigno abbia interrotto la corsa del Corpo celeste nel Cosmo, per fermarlo sopra le nostre teste.
Resta un prodigio inspiegabile.
La giovinezza mi ha lasciato, ma amministro benvoluto un popolo che vive in prosperità. La Comunità si ingrandisce sempre più. Ieri ho battezzato un bambino energico e sorridente. Mi hanno colpito i suoi occhi dai colori diseguali, identici ai miei. Ho fermato lo sguardo su di lui mentre pensiero e cuore mi raccomandavano:
Prendilo con te, quando verrà il tempo sarà l’Estremo Difensore”.
Ho sorriso amaramente, mentre guardavo il bagliore della Cometa che illumina lo scorrere dei nostri giorni.

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