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Watchmen: uno sguardo in prospettiva
di Ivan Lusetti

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Abbiamo chiesto a Ivan Lusetti, esperto del settore e responsabile della sezione dedicata al fumetto sul portale Fantascienza.com, il suo punto di vista sulla trasposizione cinematografica di Watchmen. Proprio in occasione della sua uscita nelle sale, Lusetti ha contribuito allo speciale di Delos SF con un dettagliato commento critico sulla graphic novel di Moore. Non si è però tirato indietro davanti alla nostra sfida e ci ha proposto questa lettura critica dell’adattamento curato da Zack Snyder.
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“Tonight, a comedian died in New York. Somebody knows why. Somebody knows.”
[Rorschach]

Ad un mese dall’uscita di Watchmen nelle sale italiane si possono mettere in cantiere alcune considerazioni sul film, ragionando con mente fredda attorno all’ultima creazione di Zack Snyder. Il regista statunitense aveva già dimostrato di saper gestire sul grande schermo la trasposizione di un’opera a fumetti come il 300 di Frank Miller ma da qui a confrontarsi con Watchmen, ben sapendo le difficoltà che tutti i fumetti di Alan Moore presentano nell’operazione, il passo è stato davvero lungo. Alcune critiche infatti già avevano, più o meno a ragione, contestato a Snyder di aver aggiunto al 300 milleriano un’eccessiva contestualizzazione moderna, colorandolo con considerazioni politiche attuali che avrebbero falsato il messaggio originale del fumetto: anche solo un minimo errore di questo tipo nel trasporre l’opera di Alan Moore, basata e sostenuta da una forte dialettica politico-sociale, sarebbe bastato per rivelarsi fatale all’intero progetto. Se poi consideriamo la complessità dello schema narrativo del fumetto, da molti reputato un’opera multimediale ante litteram, e i diversi piani rappresentativi che s’intersecano fra loro nella storia, ci si può rendere conto della difficoltà che qualunque regista avrebbe avuto nel misurarsi col genio di Moore.
Chi conosceva il fumetto si è trovato quindi alle porte del cinema carico di timori e aspettative, con magari anche un minimo di pregiudizio, nei confronti di una creatura che avrebbe potuto rovinare l’idea di una delle più riuscite e rivoluzionarie storie a fumetti di sempre. Non solo questo non è accaduto ma Zack Snyder è riuscito in modo eccelso a continuarne la leggenda anche ai giorni nostri.

Una splendida sequenza iniziale ci trasporta di botto in un mondo molto simile al nostro ma anche sottilmente diverso. Siamo in piena ucronia e in pieni anni ’80, nessuno però si dilunga in una forbita spiegazione per farci capire dove la storia del nostro secolo abbia preso un sentiero differente, nessuno tenta di spiegare tutto quanto è successo dalla comparsa dei supereroi in costume nella linea temporale alternativa: abbiamo solo musica e immagini. Sulle note di “The Times They Are a-Changin” di Bob Dylan, canzone citata anche da Moore nel fumetto originale, veniamo introdotti a questo Mondo Nuovo senza interruzioni, come se ci scivolassimo dentro piano piano. La struttura narrativa del fumetto, rispecchiata con fedeltà dal film, non rende l’opera di facile comprensione, ma il regista, aiutato dal talento del compositore Tyler Bates, riesce comunque a rendere, con pochi e sapienti tocchi di facile intuizione, quanto magari altri avrebbero descritto con dovizia di particolari. La musica avvolge lo spettatore, diventa un elemento fondamentale per straniarlo dal suo mondo e calarlo nell’ambiente che circonda i personaggi, evocando in modo sapiente e rendendo nuovamente attuali sensazioni e modi di essere superati da almeno vent’anni.

Dopo i cinque minuti iniziali ci si trova subito nel vivo dell’azione con la scena dell’assassinio del Comico che mette in chiaro dall’inizio due particolari ben precisi: un’ottima scelta di attori e una buona maestria nelle scene d’azione, che presentano come unici difetti una eccessiva fluidità e spettacolarità in concessione allo stile da blockbuster a cui siamo ormai abituati. I personaggi di Moore, con l’eccezione del Dottor Manhattan, sono in effetti esseri umani molto allenati privi di superpoteri, che combattono il crimine in costume assistiti solo dalle loro rispettive psicosi. Purtroppo nelle scene d’azione congegnate da Snyder lo spettatore ignaro del background grafico rischia di non comprendere questo particolare, trascurabile forse di primo acchito, ma non irrilevante nell’economia della storia a una più attenta analisi. Uno dei temi fondamentali nel fumetto infatti è come la “maschera”, l’identità alternativa degli eroi in costume, riesca a diventare l’incarnazione del loro desiderio di distinguersi, di differenziarsi dall’uomo comune, veicolando l’essenza brutale che tutti noi ci portiamo dentro ma che solo alcuni riescono a esprimere. Una psicosi non sempre controllata che ci permette, nel bene e nel male, di travalicare i nostri limiti. Questa essenza deve però scontrarsi e misurarsi costantemente con la nostra fragilità fisica e spirituale intrinseca, in una lotta dall’esito mutevole, destinata a non giungere mai a termine e a manifestare, in piccolissimi sprazzi, la parte più nobile e tragica della condizione umana.
Se non si comprende l’elemento umano ma anzi lo si travisa, stemperandolo nell’immagine classica del superuomo, tutta la dialettica di questo importante aspetto viene a cadere di colpo. Ci ritroviamo con realistici, ma non troppo, emuli degli X-Men in lotta fra loro per determinare il destino di un’umanità inconsapevole. La bravura degli attori e soprattutto un sapiente dosaggio volto a non rendere eccessivamente numerosi o lunghi gli scontri riesce a mitigare questo spiacevole fenomeno che la brama di effetti speciali di ogni film moderno avrebbe potuto far diventare uno sgradevole difetto.

Attori ben scelti, quindi, adatti alla parte e non così famosi da non riuscire ad amalgamare il proprio personaggio con quello dei comprimari. Rorschach è reso perfettamente da Jack Earle Haley, così espressivo nel linguaggio corporeo da rendere con minime movenze quello che il volto impassibile, o coperto dalla maschera, non può rivelare. Ottima prova anche per Patrick Wilson nei panni del Gufo Notturno; trascurato dalla critica perché il personaggio risulta probabilmente più “canonico” di quelli che lo circondano, Wilson interpreta in modo magistrale la dualità di un uomo che trasfigura e diventa altro da sé con indosso il costume: al punto da cambiare il portamento e la gestualità fino a una diversa mimica delle labbra. Malin Akerman, cui spetta una menzione d’onore, si dimostra all’altezza di un personaggio difficile, l’unico femminile sulla scena, rendendo credibile la sua Spettro di Seta sia in borghese sia, soprattutto, nel suo attillatissimo costume di latex. Scritturata al posto delle più famose Natalie Portman e Jessica Alba, non delude e avvalora la scelta della produzione.

Musiche coinvolgenti, struttura solida e intuitiva, attori capaci, sono punti a favore di Snyder ma ancora rimane da chiedersi se il regista sia stato capace di rimanere fedele all’anima del fumetto, smentendo le perplessità che da sempre ha covato Moore di fronte alla trasposizione cinematografica di un’opera concepita secondo il linguaggio di un diverso mezzo espressivo. Pur rimanendo il più fedele possibile alla trama e al “copione” formato dalle stesse tavole di Dave Gibbons, disegnatore del Watchmen originale, Snyder deve per forza venire a patti con l’impossibilità di tradurre tutto in pellicola. Quanto era stato creato da Moore per approfondire l’ambiente in cui si muovono i personaggi viene quindi condensato nel breve prologo iniziale mentre spariscono completamente “I Racconti del Vascello Nero”, un contraltare realizzato per fare da specchio agli eventi principali focalizzando l’attenzione del lettore sui particolari della trama rispetto ai quali potevano rimanere interrogativi. Assistiamo quindi ad una struttura snellita rispetto al Watchmen cartaceo, una struttura che si libera di quei geniali artifizi narrativi necessari a rendere, come si è accennato sopra, multimediale l’opera originale, ma che sarebbero risultati pleonastici nel contesto cinematografico, già di per sé rivolto a una comunicazione su più canali.
Gli stessi “Racconti del Vascello Nero”, resi probabilmente in animazione sul DVD in uscita, possono essere considerati superflui nell’economia di un lungometraggio che basa sull’immediatezza percettiva il suo modo di comunicare. In alcuni casi l’eccessiva fedeltà e la volontà di voler rispettare filologicamente l’originale rovinano immancabilmente il prodotto secondario, mentre una libertà controllata, come in questo caso, ne riesce agevolmente a preservare il messaggio.

Un po’ alleggerita e un po’ stralciata, l’anima del fumetto di Moore c’è tutta, e si manifesta in tutta la sua pregnanza allo spettatore attento, venendo vieppiù sottolineata in un finale sottilmente diverso da quello ideato dallo sceneggiatore inglese. Mentre nel fumetto di Moore una falsa creatura aliena, nata dal genio di Ozymandias, compare sui cieli delle maggiori città mondiali uccidendone la popolazione con la propria agonia telepatica, Snyder decide di rivolgere la responsabilità di quanto accade completamente sugli eroi. Non solo i Watchmen non sono stati capaci di scoprire quanto stava accadendo in tempo per fermarlo, ma la colpa per l’annichilazione di milioni di esseri umani viene addossata all’unico di loro con reali poteri, all’unico vero superuomo della squadra in un gioco di terrore volto a creare speranza dall’autodistruzione.

Gli eroi non sono riusciti a cambiare il mondo con il loro operato, non sono riusciti a diventare il simbolo del cambiamento, asservendosi anzi allo status quo da cui volevano distinguersi. Solo incanalando quindi verso di loro l’odio che l’uomo riserva per se stesso, solo diventando il simbolo di quanto volevano distruggere, riusciranno dove hanno fallito.
Rimarrà figurativamente solo cenere delle maschere, cenere tinta da paura, disprezzo e senso di colpa per essersi nonostante tutto piegati al disegno di Ozymandias, ma sarà una cenere fertile da cui le maschere stesse rinasceranno rinnovate, pronte a partecipare a un nuovo ciclo nella storia dell’umanità.

Zack Snyder quindi dimostra una tale padronanza della materia trattata che può arrivare a permettersi di alterare la composizione dei fattori senza compromettere il risultato, anzi andandolo ad arricchire di uno sguardo moderno che ben si adatta alla sensibilità dello spettatore. Ottimo film che rende giustizia, nonostante Alan Moore sempre si dissoci dalla resa cinematografica delle sue opere, alle idee di un autore che ha rivoluzionato il concetto stesso di fumetto.