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versione integrale [intorno alla singolarità]

di Giovanni De Matteo

Ho scritto questo racconto sullo slancio di una storia interiore che sentivo il bisogno di raccontare. Credevo di averla messa a tacere col tempo, ma come spesso succede sbagliavo. [CONTINUA]

Certe volte mi prendevi in giro, ricordi? Dicevi che l’attrazione esercitata su di me dal vuoto bastava a compensare la forza gravitazionale che cercava di tenermi ancorato coi piedi per terra. Mi ripetevi che ero un pazzo suicida, e che in uno dei miei viaggi ci avrei rimesso la pelle; che per il resto ci sarebbe stato poco da fare, oltre che recitare una preghiera.

Non sei mai stata molto religiosa, tu.

Io, invece, ho appreso la lezione delle stelle, e là fuori ho imparato a pregare. Ecco perché, forse, ho visto esaudite le mie speranze; ecco perché sono stato ascoltato proprio mentre osservavo dall’orlo il baratro immenso della disperazione e mi apprestavo a compiere l’ultimo passo - un tuffo nell’abisso.

* * *

Per gioco dicevi che ero una "miccia" e che, a furia di sfidare il fuoco della gravità, mi sarei bruciato fino al midollo. Dicevi che forse solo il midollo poteva ancora prendere fuoco, che di materia grigia non doveva restarmene un grammo, considerato il lavoro che mi ero scelto. Ma io fingevo di non sentirti e, a volte, ridevo, ma di nascosto.

Ero felice.

Non lo sai, ma più di una volta ho cercato di spiegarti cosa si prova. A sfidare la gravità, intendo, ma non solo. A essere là fuori, con tutte le conseguenze che questo comporta. Avvertire il vuoto intorno, sentire sulla pelle, attraverso la connessione, il bacio scarlatto delle stelle: ascoltare la loro voce, quasi una carezza dell’Infinito.

Ci ho provato non so quante volte, prima di arrendermi. Semplicemente, non potevo trovare le parole adatte per esprimere un’esperienza simile.

Essere uno stalker non è solo un mestiere, implica tutta una filosofia. Forse i primi tempi era diverso, non posso saperlo: per me è sempre stato così, fin dall’inizio. Già da bambino sognavo di nuotare fra le stelle. Certe notti d’estate, quando le luci di Heraklea lo permettevano e sull’hinterland il cielo era limpido, me ne restavo sdraiato sul tetto fino all’alba a fissare lo spettacolo sovrannaturale di quel nero vellutato trapunto di diamanti, standomene tutto intento a condurre discorsi sconclusionati con Cassiopea e le sue sorelle celesti. A volte mi addormentavo cullato dalla musica delle quasar. Credo proprio che per me sia stata una scelta naturale prendere questa strada. Forse non avevo vere alternative, davanti: o lo spazio, o la terra; o la caduta libera e la levità dei sogni, o la gravità e il peso della coscienza.

Questo tu lo sapevi. La Terra aveva inaugurato l’Era del Diamante con un conflitto per l’egemonia sul Sistema Solare, quando ci siamo incontrati: Marte era il più grande campo di battaglia che l’uomo avesse mai avuto a disposizione per divertirsi, sul fronte più ampio mai aperto per scannarsi coi propri simili. I replicanti e i sistemi artificiali non bastavano più a tenere in piedi uno spettacolo così complesso e sofisticato, così le parti in causa avevano cominciato da tempo la chiamata alle armi. In principio il reclutamento non era obbligatorio, ma un contratto di sostentamento militare garantiva le più alte retribuzioni che un giovane potesse ottenere. Per la paga molti finivano a masticare la sabbia di Valle Marineris o a sputare sangue nelle Paludi Nere di Minraud.

Poi, con la scoperta dei primi giacimenti di elio-3 e di litio su 61-Cygni ed Hesperus, la pratica di risolvere militarmente le contese economiche divenne una consuetudine, e la manodopera necessaria a tenerla in piedi cominciò a diventare preziosa. Si passò quindi all’arruolamento coatto, e venne escogitato un implacabile sistema di estrazione a sorte per gestire la prassi sugli insediamenti della Red-Shift Inc.

Ero già nello spazio da qualche anno, allora. Un contratto quinquennale mi legava alla Keiretzu con la qualifica di assistente navigatore. Ero nel ramo trasporti sulle rotte Europa-Serendipity-Lagrange-2.

La Lotteria della Morte, è così che chiamavamo il sistema sugli habitat della Red-Shift. Il premio era una bella divisa nuova di zecca e l’equipaggiamento minimo per il fronte. Su Serendipity il martedì sera, dopo il notiziario delle otto, i corporativi si ritrovavano sintonizzati su Wired Channel Plus per assistere all’estrazione delle nuove leve destinate a supportare lo sforzo bellico. La Lotteria era basata sul sorteggio di una data: i nati in quel giorno, di età compresa tra i sedici e i ventisette anni, erano da considerarsi ufficialmente arruolati.

Lo stillicidio delle date era terribile: 13 giugno, 18 marzo, 5 luglio, 6 ottobre...

Avevamo un’unica certezza: la chiamata alle armi sarebbe suonata per tutti.

12 gennaio. Quando arrivò il mio turno avevo diciannove anni.

Avevo già un bel gruzzolo di ore di volo all’attivo. Con ogni probabilità sarei stato assegnato al trasporto truppe: l’idea di me, connesso in una cella di percezione nel ventre di un vascello spaziale che trasportava da un teatro bellico planetario al successivo centinaia di giovani destinati al macello, mi colpì come un pugno allo stomaco. L’alternativa era persino peggiore: un futuro connesso a un cacciabombardiere, a seminare ordigni nucleari tattici sul volto butterato di qualche pianeta alieno.

Quella notte stessa incassai il mio credito corporativo e comprai da un hacker freelance una nuova identità genetica e un biglietto di sola andata per Titano.

* * *

Non te l’ho mai raccontato, ma prima di iniettarmela in vena restai per non so quanto tempo a osservare la fiala di nanoidi. Il fluido era in realtà uno sciame di microrganismi artificiali che avrebbero modificato le mie configurazioni cellulari delle iridi e delle impronte digitali. Non c’era la prospettiva del dolore all’origine della mia esitazione, quanto piuttosto la consapevolezza degli eventi che mi apprestavo a lasciarmi alle spalle.

Poi infilai l’ago sottopelle e mi iniettai una dose purissima di liquido avvenire. Sentii il futuro schiudersi nel centro esatto del mio essere come una nova e subito dopo - questione di millisecondi, non di più - onde di energia mutante propagarsi lungo le direttrici spinali.

Quando mi svegliai, mi sentii esplodere in un corpo non mio.

* * *

Ero un disertore, quando c’incontrammo.

Ero giunto a Lantana come un fuggitivo. Tu eri già lì, sull’avamposto spaziale usato dal Consorzio come testa di ponte per lo sfruttamento di Sirio e delle sue illimitate risorse geofisiche.

Quando arrivai, erano già diverse decine di migliaia gli uomini impegnati nella conquista del sistema. Lavoravano come estrattori minerari sui suoi pianeti, oppure erano impiegati nel mercato che prosperava intorno ai giacimenti di litio. Alcuni, come te, erano rimasti nello spazio, su Lantana.

Nelle città della Terra e negli insediamenti coloniali, soggetti alla ciclicità della notte e del giorno, gli affari illeciti sono da sempre un’onda elettrica che monta come la marea al tramonto. Nello spazio, in un ambiente claustrofobico ma svincolato da ogni ordine temporale esterno, gli affari sono un ronzio subliminale che si riversa nella banda sensoriale ventiquattr’ore su ventiquattro, come il rumore bianco captato dagli array di radiotelescopi orbitali puntati verso il cuore della Galassia.

Il contrabbando era la fonte di sostentamento per decine di espatriati e rinnegati, fuggiaschi riparati nello spazio prossimo di Sirio e della nana bianca sua sorella. I coloni, laggiù, avevano bisogno di mille diversivi per non impazzire, e un’amministrazione in fondo moralista per quanto nominalmente liberale com’era quella del Consorzio non concedeva molti sconti in materia di chimica e neuronica applicate al tempo libero. Il traffico illecito di stupefacenti, incrementali e innesti di personalità, divenne il mio pane quotidiano. Non te l’ho mai raccontato, ma la mia vita professionale non era argomento di discussione durante i nostri primi incontri, alla Casa delle Foglie Blu.

Vissi di commercio nero finché Nigel Fedorov, meglio noto come il Barracuda, non s’interessò ai miei talenti e alle mie competenze. Mi prese come pilota esploratore nella cooperativa che portava il suo nome: il sistema di Sirio era una sconfinata Frontiera Cosmica, in larga misura ancora da scoprire. Occorrevano giovani volenterosi per andare in ricognizione fra le duecento lune dei suoi giganti gassosi e spingersi in profondità nelle cinture asteroidali o nella fascia cometaria a censire le risorse minerarie e guidare l’espansione futura del Consorzio. E il conglomerato economico, impegnato altrove nello scontro con la Red-Shift, laggiù si affidava a dei subappaltatori per procedere in avanscoperta. La Compagnia del Barracuda era piccola ma agguerrita, e il suo direttore era universalmente conosciuto come il Signore delle Lune: ovunque avesse posato le mani, era stato capace di trasformare in oro gli investimenti del Consorzio. Ma da qualche tempo aveva intenzione di tirarsi fuori dal giro, ed era in cerca di nuove reclute da addestrare e mandare allo scoperto.

- Davvero non trovi di meglio che bruciarti come una miccia?

Ricordo alla perfezione le tue parole. "Miccia", così venivano chiamati gli stalker. Circolano mille versioni sulle origini dell’appellativo, ma io non ne ho mai capito la ragione: forse è perché le prese neurali interfacciate al nostro SNC con giunti di nanocarbonio superconduttivo sono come dei detonatori per la percezione, o forse è perché, soprattutto nei primi tempi dell’esplorazione spaziale, era difficile che uno stalker arrivasse a godersi la pensione.

Le stigmate che portavo addosso esercitavano una strana fascinazione erotica su di te. Mentre ti amavo, leccavo la tua presa d’innesto craniale sognando nuove ardimentose varianti dell’amplesso. Ricordo che una notte tu allungasti le tue dita sui miei impianti, e ti divertisti a immaginarmi come un simulacro di Cristo: gli attacchi del plug-in erano i segni della mia crocifissione mentre tu disponevi le mie membra secondo schemi innaturali, in una reiterazione grottesca del mito biblico.

- Ti brucerai - dicesti quando eri ormai stanca di quel gioco.

La tua previsione fu smentita dai fatti. Entro breve procurai alla Compagnia del Barracuda una infilata di ottimi appalti e mi assicurai un posto di rilievo nella sua scuderia. Divenni il suo delfino, un erede ideale. Mentre sfioravo a volo radente gli anelli di Eritro mi sentivo come una libellula di fullerene e nanotubuli. Il mio monologo interiore era interrotto solo dai costanti aggiornamenti del Tesseratto, e anche allora non era molto diverso dal parlare con me stesso. Ero nel mio habitat naturale, interfacciato allo spazio esterno attraverso i sistemi del clipper.

Mi sentivo invincibile.

Ti proposi di ritirarti dagli affari. Credevi che stessi scherzando. Guadagnavi in una notte quello che io riuscivo a portare a casa solo dopo una mezza dozzina di discese in profondità nella fascia asteroidale. - Non puoi dire sul serio - Eri scettica, ma io non ho mai aperto la bocca solo per darle aria, questo tu lo sapevi.

- È davvero questo che vuoi?

Era proprio quello che volevo, per il breve termine. Un giorno, magari, ti avrei portata via di lì, lontano. Ma quel giorno era ancora relegato alla dimensione matematica delle possibilità teoriche, niente più di un sogno.

Per il momento, però, entrambi potevamo accontentarci.

* * *

Sindrome Neurodegenerativa Acquisita: ANS, la Peste Nera dell’Era del Diamante. L’agente infettivo è un virus mutageno capace di manipolare la natura elettrica dell’informazione che viaggia lungo i cavi quanto quella organica si propaga lungo i nervi. La sua unica barriera è lo spazio: per qualche ragione i protocolli delle comunicazioni radio possono inibirlo. Il virus può viaggiare solo su un supporto fisico materiale, fatto di nanotubuli di carbonio, ma aggredisce solo sistemi organici.

ANS, ecco il nome della maledizione che si abbatté su di noi. Entrambi vivevamo nella connessione. Io, a bordo del mio clipper da esplorazione, connesso nella cella di percezione, ero isolato dai nodi e dai cavi della Matrice da un abisso di decine di UA. Tu, nella tua alcova alla Casa delle Foglie Blu, connessa ai tuoi clienti da cavi neurali, scambiavi con loro fluidi organici oppure basavi le transazioni sui protocolli nervosi.

Il contagio si propagò negli habitat dell’uomo con un’onda d’urto a una velocità superiore persino alla luce. Quando giunse su Lantana, ne sapevamo ancora troppo poco. Ti accorgesti di essere infetta solo dopo aver lasciato la Casa delle Foglie Blu: i cali d’attenzione, i disturbi del sonno e la facilità con cui scivolavi in stati di coscienza alterata furono il preludio alla fine.

Veloce com’eri entrata nella mia vita, ne uscisti.

* * *

Dopo la tua morte, mi sono estraniato dal mondo. La connessione era la mia via di fuga, porta d’accesso a un universo incontaminato ancora tutto da scoprire.

Ho continuato a solcare le rotte siderali del sistema di Sirio, sognando le onde invisibili del mare cosmico, pregando le divinità che forse strisciavano in quegli abissi di tenebra affinché concedessero alla tua anima la pace del Nirvana.

Vivevo nel cavo, interfacciato al clipper in rotta verso isole di roccia alla deriva nello spazio, a volte anche per settimane intere di fila, spingendomi sempre più lontano. Il Tesseratto mi sconsigliava di farlo, ma io avevo smesso da tempo di ascoltarlo.

Ogni volta che rientravo, trovavo sempre più alieno il mondo che mi ero lasciato alle spalle. Erano tempi veloci e il cambiamento procedeva ormai con rapidità inesorabile. Di ritorno a Lantana scoprivo sempre nuovi dettagli nel mutamento che interessava il mondo degli uomini. Era come perdersi nelle innumerevoli spire di un frattale azzurro, o sprofondare nei vortici di un oceano psichico.

Proprio quando mi ero convinto di avere ormai tagliato ogni ponte col passato, un’ombra oscura emerse minacciosa dal vortice del tempo. Di ritorno da una delle più lunghe missioni nella locale Nube di Oort, mi imbattei in un traffico inconsueto di contrassegni esterni. Gli incrociatori di nuova concezione che scorazzavano fra i pianeti di Sirio risvegliarono un campanello nella mia testa.

Quando ripristinai il contatto radio con la cooperativa, fu il Barracuda in persona a informarmi che la Red-Shift era sbarcata nel sistema. Una stagione di tensioni si profilava all’orizzonte.

* * *

In un primo tempo, le cose andarono avanti relativamente tranquille. La Red-Shift poteva vantare opzioni di sfruttamento su una manciata di lune secondarie: per quanto paresse seriamente intenzionata a far valere i suoi diritti, il suo dispiegamento di mezzi e uomini tradiva un eccesso a dir poco inquietante. Malgrado la presenza ingombrante del Consorzio, diversamente dalle precedenti occasioni di convivenza forzata, non si arrivò mai allo scontro aperto.

Cominciarono comunque a circolare delle voci.

A quanto pareva, la Red-Shift aveva messo in moto un subdolo meccanismo di propaganda nera per annettere alla propria macchina corporativa un nuovo, minuscolo ingranaggio: Lantana. La scalata al comitato di rappresentanza della stazione si compì prima che il Consorzio potesse mettere in atto le opportune contromisure.

Lantana finì sotto la materna protezione della Keiretzu insieme a tutti i suoi occupanti.

Di ritorno dall’ennesima missione esplorativa, mi ritrovai nuovamente al servizio della Signora Rossa dei Cieli.

* * *

La politica della Keiretzu non era affatto cambiata: inglobare tutto e tutti, con l’obiettivo della supremazia assoluta. Io, però, non ero più lo stesso dei vecchi tempi.

Quando la Compagnia del Barracuda fu riqualificata come Unità di Ricerca ed Esplorazione Planetaria (la cosiddetta pre-Unit), la Red-Shift ereditò anche il mio contratto. Ero tornato ufficialmente a servire il vecchio logo corporativo, ma per quanto la riorganizzazione societaria si sforzasse di indottrinare i neoacquisiti dipendenti, continuavo in effetti a condurre i miei voli nell’autonomia a cui mi ero abituato.

Restavo fuori per settimane, vivendo nella connessione con il clipper, in comunione con lo spazio esterno. Attraverso i sistemi di rilevamento sensoriale della piccola freccia da ricognizione, ascoltavo la musica antica delle stelle, proprio come quando ero un bambino ancorato alla gravità terrestre.

Il clipper era provvisto di una vela solare intessuta di microcelle fotoelettriche ad alto rendimento. A volte, quando la gravità era solo un’eco del più vicino corpo celeste, mettevo a dormire il Tesseratto di bordo e restavo solo, a contemplare lo spettacolo magnifico della notte cosmica. E mi sentivo come uno dei navigatori della Vecchia Terra, persi di notte fra i flutti dell’oceano con le stelle come unica guida.

Radiazioni elettromagnetiche e arcobaleni gravitazionali s’intrecciavano nello sciabordio di onde quantistiche. Mi divertivo ad alternare i canali di rilevamento, sperimentando combinazioni sempre nuove in modo da cogliere ogni volta un aspetto diverso dell’universo: ultrasuoni, banda radio, infrarosso, frequenze termiche, spettro visibile, ultravioletti, raggi X... Riempivo le mie notti fotografando sotto lunghezze d’onda variabili il cielo che mi circondava, sconfinato.

E ti pensavo.

Non ho mai smesso di pensarti.

Lo facevo mentre ero impegnato in una traversata siderale senza certezza di ritorno, mentre ascoltavo il richiamo ipnagogico delle stelle, quando…

Un giorno, all’improvviso, mentre scandivo un settore di cielo nella banda dei raggi X, mi imbattei in un dettaglio singolare. C’era un’emissione violenta, ripetuta ciclicamente a intervalli costanti. Approfondendo la faccenda, riscontrai anche un debole ritorno termico nell’infrarosso. Interrogai il Tesseratto e, grazie a qualche miliardo di iterazioni di un algoritmo elaborato per l’occasione, i suoi circuiti quantistici ipotizzarono in una frazione di secondo che la sorgente di quella radiazione anomala potesse essere un piccolo buco nero.

Rammentai le nostre chiacchierate notturne, quando cercavamo d’immaginare un modo per fuggire via e ricostruirci altrove una nuova esistenza su misura. La conclusione, allora, era sempre la stessa. Ricordi? Serviva una grande occasione...

Era in ritardo, ma forse avrei trovato un modo per volgerla a mio vantaggio.

* * *

Già più di una volta, nel passato recente, avevo tenuto nascoste le mie scoperte con la preziosa collaborazione del Barracuda. Nigel contava di rivendere le informazioni della pre-Unit celate alla Red-Shift a qualche altro offerente attivo sulla scena economica della Matrice.

Nei suoi programmi, un ruolo di primo piano poteva essere giocato dalla scoperta di un microbuco nero appena fuori dalla cintura cometaria di Sirio. Secondo la teoria di Roger Penrose, sarebbe stato possibile sfruttare la rotazione del buco nero come una sorta di dinamo cosmica, per estrarre dalla singolarità gravitazionale dosi cospicue di energia. L’applicazione avrebbe richiesto forse qualche sforzo tecnico, ma con l’appoggio di qualche colosso - o magari di una fazione minoritaria, ma comunque veloce, convinta e intraprendente - non avrebbe opposto ostacoli insormontabili.

Il Barracuda aveva contatti con una banda di diseredati - tecnici e scienziati con una spiccata vocazione anarchica - che già aveva impiantato una stazione di marea su Barnard’s Star. Erano giovani e avulsi alla logica dello schieramento: seguivano una terza via e ispiravano una certa fiducia. Se avessero rifiutato, avremmo sempre potuto ripiegare, come opzione di riserva, sul Consorzio.

* * *

E poi sei tornata.

Quando ti ho rivista, davanti al cristallo panoramico della sala d’attesa nel terminal di Lantana, ho temuto di aver avuto un’allucinazione. Invece tu eri vera e ho pensato che gli oscuri dèi che fra le pieghe del continuum attendono pazienti - anche se a volte sbraitano e bestemmiano, in preda a degli incontenibili attacchi d’ira - erano andati ben oltre le mie timide suppliche.

Il campanello d’allarme era sempre lì e ora squillava impazzito, ma io ho voluto relegarlo in un angolo riposto del mio essere interiore.

Tornare a fare l’amore con te nella Casa delle Foglie Blu è stato come giacere con il fantasma del tempo, un’epifania di eternità. Mi sentivo di nuovo immortale, che stupido! È proprio vero: la storia non c’insegna mai niente.

* * *

L’altra notte, l’ultima notte trascorsa insieme, ho rivisto il tuo sorriso mentre un’ombra di tristezza emergeva alla superficie dei tuoi occhi, e sono stato di nuovo felice. Avevo di nuovo te, e insieme avevamo la nostra occasione. Tanto mi bastava.

È pensando a te, quindi, che lascio queste mie ultime parole, probabilmente più di quante sia riuscito a dirtene davvero nel corso delle nostre due vite trascorse l’uno accanto all’altra. È a te che lascio queste memorie, anche se so che sarebbe stato più appropriato rivolgerle a lei, a Laureen, la donna che ti ha preceduta e che ti ha fornito la matrice genetica da cui sei nata – ora so anche per volontà di chi e perché.

Non credevo che la Red-Shift arrivasse a manomettere il sartiame del clipper, rendendolo di fatto schiavo della sua vela abulica e, con essa, del vento stellare. Sono fiducioso che un giorno qualcuno intercetterà questo mio clipper alla deriva, proiettato verso l’infinito. Prima che accada, di sicuro sarò già morto da tempo, ma i miei pensieri finali saranno lì, incapsulati nei banchi di memoria olografica del Tesseratto. Voleva confortarmi, quando prima ha calcolato la distanza dal più vicino insediamento umano: a questa velocità ci vorranno 216 anni. Gli intelletti di sintesi hanno un concetto tutto loro di empatia. Non mi sarei aspettato di più da lui. Non avrei dovuto aspettarmi di più da noi.

In fin dei conti, entrambi siamo stati strumenti - forse inconsapevoli - nelle mani di un burattinaio più grande. Forse non meritavo nemmeno la sorte che mi attende: perdermi fra le stelle, nel ricordo di te.

Nel ricordo della donna che incarnavi: la mia Laureen.

Perché tu sei una persona diversa, e probabilmente molto ancora sarai cambiata, se un giorno ascolterai queste mie parole.

Ma sicuramente anche tu hai avuto un prezzo. Senza di te a fare da tramite, la Red-Shift non sarebbe mai venuta a conoscenza delle nostre trame intorno al buco nero e alle nostre stupide speranze di redenzione. Ma adesso non ha più importanza. Laureen ripeteva sempre che mi sarei bruciato.

Alla fine, dopotutto, devo ammettere che le sue previsioni si sono avverate. E se non lei in prima persona, tu per lei hai avuto la grande occasione che sognavamo. Tutto sommato tu, i tuoi assi, li hai spesi bene.

Ma continuo sempre a chiedermi se anche tu, per lei, hai ceduto alla tentazione di pregare per me.

So che è tutto inutile. Una preghiera non mi salverà la vita, ormai. Ma l’idea si mischia con i ricordi, e mi sfiora con una carezza. Qualcosa che presto non potrò nemmeno più sognarmi di sentire. Fra un po’, tutto ciò che resterà di me sarà meno che materia: solo la sostanza di cui sono fatti i sogni e, magari, polvere di stelle.

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